mercoledì 7 gennaio 2015

Nel bene e nel male.


Lo scorso ottobre  è stato il mese di lancio per molti dei giochi rivelazione del 2014. Uno tra loro era atteso soprattutto per il nome del Game Designer che ne stava orchestrando i lavori: Shinji Mikami, il papà di Resident Evil. Ovviamente il gioco in questione non può che essere The Evil Within il primo vero ritorno al survival horror vecchio stile che mancava da davvero troppo tempo, soprattutto su console. Sono da tempo fan di tutto ciò che riguarda i videogame horror, i film horror e l'horror in generale. Penso che sia uno di quei generi che riesce a suscitare più emozioni negli appassionati. Quando il lavoro viene fatto bene certo. Non come praticamente quasi tutti i film recenti. Quindi dopo tanta attesa ho spolpato TEW e ho deciso che valeva la pena scriverne due righe, per valutare se finalmente siamo di nuovo al cospetto di un valido elemento del genere, oppure no, anche in previsione dell'ormai prossima uscita dei DLC/espansioni promessi.




      Il gioco si presenta come un classico tps survival horror come non se ne vedevano da tempo. La camera è molto ravvicinata al personaggio e quando si mira con l'arma addirittura l'inquadratura si stringe quasi esclusivamente su di essa. Il padre di Resident Evil prende spunto da tutta la mitologia filmica e videoludica dell’horror e la reinterpreta citandola più volte e in maniere diverse. Il risultato si presenta sottoforma di una varietà di livelli molto ampia e ben riuscita. In questo modo strizza l’occhio agli appassionati e gli fa rivivere in parte tutte le sensazioni provate con i giochi da cui trae ispirazione. Silent Hill e Resident Evil su tutti. Ma non solo come impostazione di gameplay ma anche come situazioni, ambientazioni e nemici. L’audio poi fa la sua parte con musiche azzeccate che accompagnano ogni momento nel modo più appropriato, pur mancando brani memorabili come quelli presenti nella saga di Silent Hill. 

      Le ambientazioni sono tante e variegate, tutte d’atmosfera. Il comparto tecnico è forse quello che traballa di più, almeno su PS4, alternando effetti di luce, ombre, bagnato e resa generale splendida, a scorci poco puliti e texture slavate o che caricano in ritardo. Inoltre la scelta di usare le bande nere è un arma a doppio taglio, perché se da una parte limita la visuale e infastidisce, dall’altra aiuta a trasmettere quel senso di oppressione che il gioco possiede, creando una volutissima sensazione di disagio. Sicuramente senza di esse si godrebbe di più  delle fantastiche ambientazioni ma parte del senso di angoscia andrebbe perso risentendone sull’impatto emotivo. Tutto questo però non influisce negativamente sulla resa visiva generale che resta di alto livello.
   
      Il design delle creature è ben fatto, ispirato e a tratti superlativo, ognuno con una mitologia ben precisa, leggibile in un apposito menu una volta completato il gioco la prima volta o intuibile dai dettagli sapientemente sparsi durante il gioco. Il gameplay funziona alla grande e ha bisogno di essere appreso bene per essere apprezzato, così come il sistema di potenziamento. La longevità raggiunge le 20 e passa ore alla prima run quindi di tutto rispetto. 

      In generale appassiona e cattura in una spirale di violenza psicologica come non succedeva dai tempi dei primi Silent Hill e questo non può che essere un pregio. Per quanto riguarda la trama è narrata in modo discontinuo e frammentato proprio per mantenere il mistero fino alle battute finali. Non tutto viene svelato, anche per lasciare un minimo di libera interpretazione che fa sempre bene. 
      Bisognerà vedere se i DLC o un sequel chiariranno i punti rimasti oscuri rendendo l’opera del tutto compiuta. Alcuni dettagli poi sono davvero pazzeschi ad esempio [evidenziate il testo seguente solo se avete completato il gioco]: il fatto che il protagonista trovi bottiglie di vino che può raccogliere e lanciare per distrarre o colpire i nemici è dovuto ai problemi di alcolismo di cui lui stesso soffre e quindi influenzando il mondo mentale in cui si trova in questo modo, facendole apparire a sua insaputa
      Queste finezze sono comprensibili solo dopo aver finito il gioco almeno una volta, e se volessimo analizzare con cura ogni particolare troveremmo sicuramente altre chicche del genere, che dimostrano come la volontà degli sviluppatori fosse quella di superare le barriere che separano l'utente dal videogioco inserendolo in un mondo che potesse essere un tramite tra la finzione e la realtà, usando talvolta trucchi grafici e mentali per disorientare e stupire, rendendone labile il confine.


Sicuramente avrete capito che ho davvero apprezzato il gioco e nonostante il ritmo vari molto durante la campagna, con alcuni livelli forse esageratamente action, complessivamente non si può non elogiare il lavoro svolto, anche alla luce del fatto che sia stato un team esordiente ad occuparsene, nonostante fosse guidato da un grande maestro, e ammettere che finalmente un po’ di vero horror videoludico, quello psicologico, è tornato. 

Speriamo che questa gen rappresenti un ritorno degli horror tripla A, e che le altre software house prendano spunto per le loro idee da TEW perchè siamo sulla strada giusta. Proprio in questo modo il male di The Evil Within potrà rivelarsi un bene per l'industria videoludica horror. E se per caso non avete ancora provato P.T (Silent Hills Playable Teaser), gratuitamente scaricabile dal PSN, allora correte a farlo, chissà che presto o tardi non ci si ritrovi a parlare di lui e di tutta la saga di Silent Hill su queste pagine. O nelle nostre menti...


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